Curiosità sulle api e il miele
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In una famiglia d'api, ogni stagione, vivono 50/60.000 api.
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L'ape operaia, durante la stagione produttiva, vive circa 50 giorni.
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L'ape regina vive fino a cinque anni.
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In un giorno l'ape regina depone fino a 2000 uova.
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Per deporre fino a duemila uova al giorno l'ape regina consuma con la pappa reale fino ad 80 volte il suo peso.
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La velocità media di un'ape è di 24 chilometri orari e può arrivare fino a 29 chilometri orari.
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Una singola ape, per produrre un 1 kg di miele, vola per circa 150.000 chilometri, quasi quattro volte il giro della Terra.
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Per produrre un chilo di miele sono necessari quasi 60.000 voli d'andata e ritorno dall'arnia ai fiori.
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Ogni alveare "bottina", cioè raccoglie il nettare, per un raggio di tre km, quasi 3.000 ettari, il corrispondente di oltre 4mila campi da calcio.
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In un giorno le api di un alveare possono visitare fino a 225.000 fiori.
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Le api sono tra gli insetti più fragili e sensibili all'inquinamento. Non sono infatti mai stati riscontrati fenomeni significativi d'inquinamento del miele, dato che le api muoiono prima di poterlo accumulare.
Domande e risposte sul miele
Che cos'è il miele?
E' il prodotto alimentare che le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell'alveare.
Il miele fa ingrassare?
Il miele è un alimento calorico (320 kcal ogni 100 g), quindi chi è a dieta deve fare attenzione alla quantità che ne utilizza. Il vantaggio del miele sta però nel suo elevato potere dolcificante, dovuto all'alto contenuto di fruttosio, che permette di zuccherare un alimento usando meno calorie rispetto a quelle che si utilizzerebbero dolcificando con lo zucchero.
È vero che il miele cristallizzato è quello a cui è stato aggiunto dello zucchero?
No, non è vero. La tendenza a cristallizzare è un processo naturale che interessa quasi tutti i mieli. Gli unici che rimangono liquidi per molto tempo, fino a due anni dalla raccolta, sono il miele di acacia, di castagno e di melata, ricchi di fruttosio.
È meglio il miele liquido o cristallizzato?
La scelta tra miele liquido e cristallizzato è una questione di gusto personale.
Occorre però sottolineare che solo alcuni mieli si mantengono liquidi a lungo (il miele di acacia, di castagno e di melata), mentre gli altri si presentano liquidi perché hanno subito un trattamento termico, che annulla completamente la cristallizzazione, ma deprezza la qualità del miele impoverendone le caratteristiche nutrizionali.
È meglio usare il miele o lo zucchero?
Utilizzare il miele al posto dello zucchero presenta senza dubbio numerosi vantaggi. Primo di tutti l'apporto all'organismo di energia subito disponibile sotto forma di glucosio e fruttosio, zuccheri semplici che non richiedono alcun processo digestivo. Inoltre il fruttosio è uno zucchero che ha proprietà emollienti utili a livello della gola, dello stomaco e dell'intestino. È indispensabile inoltre per lo smaltimento delle sostanze tossiche e nocive che si accumulano nel fegato. Di grande importanza sono anche le sue proprietà antibatteriche, grazie alle quali il miele viene utilizzato da secoli a fini terapeutici.
Quando scade il miele?
Grazie alle sue caratteristiche chimico-fisiche (elevata acidità, alto tenore zuccherino, presenza di sostanze antibatteriche) che creano un ambiente ostile allo sviluppo dei batteri, il miele si conserva molto a lungo.
Ad accelerarne l'invecchiamento sono le temperature elevate e la luce diretta. Si ha allora una progressiva degradazione degli zuccheri, un impoverimento degli aromi e un inscurimento del colore. Bisogna però sottolineare che anche in questo caso il miele non diventa mai nocivo per la salute, pur perdendo le caratteristiche peculiari del prodotto fresco. È consigliabile comunque consumare il miele entro due anni dalla data di produzione.
Il miele di castagno ha un sapore molto amaro: è normale o diventa amaro quando è avariato?
Il gusto molto amaro è tipico del miele di castagno. Come molti altri mieli monofloreali, a caratterizzarlo non è solo il sapore ma anche il colore scuro e l'odore un po' acre.
Il miele di melata deriva dalle mele?
No, il miele di melata si ottiene da una secrezione zuccherina, detta melata, che le piante producono in seguito all'aggressione di insetti dell'ordine dei rincoti.
Domande e risposte sulle api
Come si possono tenere lontane le api durante un pranzo all'aperto?
Le api non sono mai attratte dal cibo, lo sono invece le vespe che si riconoscono facilmente per il volo a scatti e il corsetto sottile.
Cosa si deve fare in caso di puntura?
In caso di puntura bisogna innanzitutto togliere il pungiglione, che altrimenti continua a emettere veleno, e raffreddare la parte colpita. In caso di allergia con manifestazioni di difficoltà respiratorie è necessario consultare il medico.
È vero che l'ape quando punge muore?
È vero, ma solo quando punge i mammiferi e gli uccelli. Infatti il pungiglione, provvisto di uncini, rimane impigliato nella pelle. L'ape nell'allontanarsi si strappa l'addome e muore.
Quanto miele consuma l'alveare per se stesso?
L'alveare consuma da 220 a 250 chili di miele. L'apicoltore sottrae alle api circa il 10% di miele.
Le modalità di assaggio professionale del miele sono state configurate negli anni 70 da Michel Gonnet. Oggi queste modalità si ritrovano codificate dall’Albo Nazionale degli Esperti in Analisi Sensoriale del Miele.
Assaggiare un miele professionalmente significa utilizzare consapevolmente i nostri sensi, orientandoli a una valutazione, piuttosto che abbandonandosi al puro piacere.
In una valutazione professionale, è importante eliminare ogni influenza dell’ambiente così come del modo in cui il miele è presentato. E’ importante concentrare l’attenzione su ciò che è essenziale, tenere fuori dal nostro campo di coscienza tutto quello che non riguarda il nostro esame, o addirittura lo disturberebbe.
Per fare un’esperienza personale, si può iniziare semplicemente da un vasetto di miele, e se si ha a disposizione un bicchiere a ballon da 150 millilitri, o più semplicemente un calice da vino, si può trasferirvi una piccola quantità di miele di circa 30 grammi. Potremo così vedere il miele in trasparenza, prendere nota del colore, osservando magari che nel vasetto, in una massa maggiore, il colore appare più scuro che nel bicchiere.
Il primo esame a cui sottoponiamo il miele è quello della VISTA.
Il miele apparirà cristallizzato o liquido, e potremo notare se è omogeneo o presenta delle impurità, o delle parti schiumose. Se i cristalli appaiono grossi o fini.
Come possiamo definire il colore?
Possiamo per prima cosa notare quanto è scuro e quanto è chiaro.
Poi, trovare una parola per definire la qualità di quel colore.
Se non ci viene, possiamo attingere al vocabolario normalmente usato dall’assaggiatore: è ambrato? (chiaro? scuro? molto scuro?) è quasi incolore? oppure di un giallo paglierino?
(Queste sono parole che si applicano soprattutto ai mieli liquidi)
O c’è un’altra parola che ritieni più appropriata?
E’ un unico colore, o presenta delle tonalità, dei riflessi diversi?
E’ bianco? avorio? beige? nocciola? marrone? giallo? color crema?
(Queste sono parole che si applicano soprattutto ai mieli cristallizzati)
L’esame visivo è qualcosa che, in fondo, avremmo potuto fare in qualsiasi ambiente, purchè dotato di una luce buona e chiara.
Il prossimo passo –seguendo la naturale sequenza di chi entra in contatto con un cibo- è l’esame dell’ OLFATTO. Ed è qui che diventano più rigorose le precauzioni previste.
Il locale non deve avere odori estranei, ma anche il nostro corpo, i nostri vestiti, non devono essere profumati, perché questo falserebbe la nostra percezione. A questo punto è bene spatolare il miele sulla superficie del bicchiere, per esporre una maggiore superficie ai recettori del nostro naso. Anche scaldare leggermente il bicchiere con le mani può aiutare l’odore a rivelarsi. Si fiuta alcune volte, col naso vicino all’orlo del bicchiere. Un’odore arriva presto a saturazione, per cui, se si vuole ripetere l’esperienza una seconda volta, meglio aspettare una ventina di secondi. Un trucco è anche quello di annusare i propri vestiti, purchè non siano profumati: è l’odore più neutro, quello a cui siamo più abituati, dove azzerarci per ripartire.
Anche questa volta dovremo trovare delle parole, degli aggettivi, per definire l’odore che abbiamo percepito.
Ma questa volta sarà più difficile, e non c’è da preoccuparsi se lo troveremo un po’ difficile. Il senso dell’olfatto, man mano che l’uomo ha assunto la posizione eretta e ha avuto meno bisogno dell’istinto, è passato in secondo piano rispetto all’udito e alla vista, e lo sforzo che faremo per trovare gli aggettivi più appropriati rimetterà in gioco un meccanismo molto arrugginito, sarà un modo di far incontrare il nostro uomo primitivo con la parte più civilizzata e razionale.
La prima cosa che noteremo sarà l’intensità dell’odore, che potrà essere da impercettibile fino a forte.
Ma quale parola può descrivere l’odore di questo miele?
Oppure potremo chiederci: cosa ci ricorda questo odore? Dove lo abbiamo già sentito? Da dove proveniva?
Se è stato difficile trovare una parola, attingiamo di nuovo al vocabolario dell’assaggiatore professionale, che per aiutarsi usa una classificazione degli odori che li divide in floreale, fruttato, vegetale, caldo, aromatico, animale, caramellato, chimico. All’interno di queste famiglie, possiamo trovare altre specificazioni nella scheda allegata o nella
E a questo punto si è pronti per la prova del GUSTO.
A questo punto occorre sapere che il gusto, in realtà, è un misto di gusto e odorato (perché attraverso la bocca “annusiamo” con la parte retronasale del sistema olfattivo). Dunque è meglio non ritornare all’esame olfattivo dopo aver gustato, perché l’aroma che abbiamo ancora in bocca saturerebbe la percezione, impedendoci di usare la via nasale diretta.
Anche qui ci sono delle precauzioni da osservare. Un assaggio risulterà sicuramente falsato se abbiamo precedentemente mangiato cibi dal sapore persistente, come aglio, cipolla, o se, poco prima, abbiamo fumato o bevuto caffè.
Se assaggiamo più mieli, è opportuno far passare almeno un minuto tra un assaggio e l’altro, e ancora più se i mieli sono tanti e dal sapore persistente. Sciacquarsi la bocca con acqua, o mangiare un pezzetto di mela, aiuta a creare uno stacco.
Schiacciando il miele tra la lingua e il palato, e lasciando agire la salivazione, possiamo innanzitutto distinguere i 4 sapori fondamentali: DOLCE, ACIDO, AMARO, SALATO, che è l’esperienza gustativa in senso stretto: questi infatti sono sapori che si possono percepire anche quando (per esempio a causa di un forte raffreddore) l’odorato non funzioni.
Anche per il gusto si può definire il grado di intensità.
E anche questa volta dovremo trovare qualche parola, qualche aggettivo, per definire la qualità particolare del miele che stiamo assaggiando.
Se non ci viene facilmente una parola, potremo di nuovo trovare ispirazione nella scheda allegatao nella
A volte il sapore del miele può cambiare di qualità dopo un po’ che si ha nella bocca, avremo allora quello che si chiama retrogusto.
Nel lavorare il miele con la lingua, avremo anche una percezione del miele attraverso il senso del TATTO. Ne avevamo avuto un’anticipazione spatolandolo, ma adesso è un rapporto più intimo col prodotto.
Se il miele è liquido, potremo accorgerci che va da un estremo di fluidità a quello opposto di viscosità, passando per diverse gradazioni.
Se è cristallizzato, può avere una consistenza morbida, pastosa, compatta.
E i cristalli?
Possono essere fini, medi, grossi, solubili, insolubili, tondeggianti o angolosi.
Una volta esaminato il miele attraverso una completa esperienza sensoriale, potremo riandare alle parole che abbiamo usato per provare a memorizzarlo (sapendo per esempio che è di robinia, castagno, eucalipto, girasole, tiglio, ecc), in modo da saperlo riconoscerlo in futuro.
Se assaggiamo insieme a qualcun altro, e non siamo nell’ambiente professionale degli assaggiatori, con tanto di cabina individuale, dobbiamo stabilire una complicità: nessuno deve fare né commenti ad alta voce né smorfie o altre espressioni: è facilissimo influenzarsi.
ATTENZIONE ALL’ETICHETTA!
i (pochi) punti critici che possono interessare chi acquista un vasetto di miele
principi generali: secondo il Decreto Legislativo n. 181 del 23 giugno 2003, che regolamenta l’etichettatura dei prodotti alimentari in generale, l’etichettatura non deve:
1) indurre in errore l’acquirente;
2) attribuire all’alimento effetti o proprietà che non possiede;
3) suggerire che l’alimento possegga caratteristiche particolari, quando tutti i prodotti analoghi possiedono caratteristiche identiche;
4) attribuire all’alimento proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia.
il miele dev'essere solo miele, senza aggiunte: il Decreto legislativo 179/04 vieta l’aggiunta al miele, immesso sul mercato in quanto tale o utilizzato in prodotti destinati al consumo umano, di qualsiasi ingrediente alimentare, ivi compresi gli additivi, e l’effettuazione di qualsiasi altra aggiunta se non di miele. Sulla base di tale principio, preparati ad esempio a base di nocciole e miele, non possono riportare in etichetta il termine “miele”, ma un nome di fantasia (tipo “Nocciomiel”) e/o “Preparazione alimentare a base di miele e nocciole” (con le relative percentuali).
un millefiori non è una miscela: il termine “millefiori” (o multiflora o anche poliflora) si associa ad un ambiente multifloreale e serve a indicare il miele che deriva dall’attività naturale dalle api ma che non può essere definito uniflorale. Tale termine non può invece essere utilizzato per un miele ottenuto dalla miscelazione artificiosamente prodotta, da parte dell’uomo, di mieli unifloreali; in quest’ultimo caso, la dizione corretta da utilizzare è quella di “Miscela di mieli”. Perciò il termine “miscela…” implica l’intervento dell’uomo nel formare un prodotto finale.
E’ possibile trovare su un’etichetta una doppia denominazione botanica, per esempio “miele di castagno e tiglio”, o “miele di melo e tarassaco”: si deve obbligatoriamente trattare del prodotto di fioriture simultanee, altrimenti ricade nella denominazione “miscela”.
l'informazione nutrizionale: è facoltativa, ma è disciplinata da un apposito decreto. I valori da dichiarare in etichetta sono valori medi, generalmente ricavati dai dati ottenibili dalla vasta bibliografia esistente sul miele (anche se è ovviamente possibile mettere dati ricavati dall’analisi effettuata sull’alimento). Un esempio di etichetta nutrizionale per 100 g di miele, può essere la seguente:
- valore energetico 320 Kcal - 1360 KJ
- proteine 0 g
- carboidrati 80 g
- grassi 0 g
Non costituisce informazione nutrizionale, è anzi espressamente proibito produrla in etichetta, l’elencazione di pretese proprietà farmacologiche o terapeutiche del miele.
sigillo di garanzia: il sigillo di garanzia non deve poter essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata. Garantisce il consumatore ed il produttore da eventuali manipolazioni.
a chi dovrei chiedere indietro i miei soldi?: in etichetta deve comparire il nome di un soggetto che si assuma la responsabilità commerciale del prodotto. I soggetti sono tre e alternativi:
• il produttore e la sua sede
• il confezionatore e la sua sede
• il venditore e la sua sede
Bisogna far attenzione a non confondere l'indirizzo del produttore con l'origine geografica effettiva del miele (che, a parte il paese d’origine, è un’indicazione facoltativa): sono due indicazioni diverse e non necessariamente coincidono.
da dove viene il miele?: è obbligatorio che in etichetta venga esplicitamente indicato il Paese o i Paesi d’origine in cui il miele è stato raccolto.
Esempi: “Paese di origine: Italia” oppure “Paese d’origine: Argentina”; “Paesi di origine: Italia e Romania”; “Paesi di origine: Cina e Ungheria”. Queste indicazioni sono quasi sempre riportate in caratteri piuttosto piccoli e in una zona marginale dell'etichetta (oppure nella controetichetta o nel sigillo). Vanno quindi cercate attivamente: è comunque meglio indirizzarsi verso prodotti in cui l'indicazione dell'origine geografica sia ben evidente e non equivoca.
da consumarsi preferibilmente entro...: l’indicazione sulla durabilità è obbligatoria, per il miele, ma si riferisce al cosiddetto “termine minimo di conservazione”, non alla "scadenza", che per il miele non esiste. Il termine minimo di conservazione è la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione; è espresso dalla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro…”. Per il miele tale termine non è definito e va deciso sotto la responsabilità di chi lo mette in commercio. Abitualmente, si ritiene valido per il miele un T.M.C. di 18 mesi (in questo caso va indicato con mese ed anno); alcuni però preferiscono un T.M.C. di due anni (in questo caso può essere indicato con il solo anno). Va ricordato che il miele si conserva molto a lungo. Ad accelerarne l'invecchiamento possono essere le temperature elevate e la luce diretta, ma non diventa mai nocivo per la salute, pur perdendo le caratteristiche organolettiche del prodotto fresco.
indicazioni di conservazione: sono indicazioni facoltative, e vale la pena di prenderle sul serio: "per mantenere questo prodotto più a lungo inalterato conservare il vasetto in luogo fresco e asciutto, al riparo dalla luce".
“miele bio”: l'indicazione "da agricoltura biologica" indica speciali processi di ottenimento del prodotto, basati sulla salubrità dei pascoli e su tecniche di produzione particolarmente rispettose della salubrità del prodotto, dell'ambiente e del benessere degli animali utilizzati.
ATTENZIONE AL CONTENUTO DEL VASETTO!
miele con "separazioni di fasi": se in un vasetto di miele si nota la netta divisione del contenuto in due strati, la parteristallina in basso e la parte liquida sopra, questa divisione non è solo un difetto estetico, ma la spia di difetti più gravi e i possibili alterazioni. All’origine della separazione di fasi ci può essere un eccesso di umidità, che può preludere alla fermentazione, ma anche una conservazione a una temperatura troppo elevata e quindi a un invecchiamento precoce. Meglio evitare di comprarlo.
miele con marezzature: le marezzature, chiamate tecnicamente “macchie di ritrazione” sono un difetto puramente estetico, causato da un fenomeno naturale, l’evaporazione di acqua in superficie e il seccarsi dei cristalli di glucosio, che appaiono nelle striature bianche. Di un miele con marezzature si può dire che è “brutto ma buono”, nel senso che probabilmente è di produzione artigianale e ha subito il meno possibile di manipolazioni.
miele fermentato: è difficile rendersi conto che un miele è fermentato senza aprire il vasetto. Se è fermentato, aprendolo, si potrà sentire un suono come di bottiglia stappata, cogliere un odore vinoso o di aceto, e osservare la superficie del miele leggermente schiumata. Il vasetto chiuso può eventualmente rivelare una fermentazione in stato avanzato se il coperchio appare rigonfio. La fermentazione è un difetto che riguarda soprattutto le caratteristiche organolettiche, ma che non nuoce alla salute, basti pensare che per legge il miele che possiede un gusto o un odore anomali, che ha iniziato un processo di fermentazione, che è effervescente, può comunque essere destinato all’industria della pasticceria, ma in questo caso, alla denominazione di “miele per uso industriale”, deve anche essere aggiunta la menzione di: “destinato solo alla preparazione di cibi cotti”.
alveare: l’insieme dell’arnia e della famiglia d’api organizzata al suo interno.
analisi melissopalinologica: esame microscopico dei granuli pollinici presenti in un miele per determinarne l’origine floreale più o meno composita.
analisi chimica del miele: procedura di laboratorio volta a identificare in un miele una serie di parametri indicativi della qualità (umidità, diastasi, idrossimetilfurfurale, ecc.) o della tipologia (Ph, conducibilità elettrica, contenuto di ceneri, ecc.).
analisi sensoriale del miele: valutazione del miele effettuata utilizzando i sensi della vista, del tatto, dell’olfatto e del gusto sia intuitivamente che all’interno di una serie di parametri messi a punto per rendere esprimibili e confrontabili le esperienze soggettive.
apiario: l' insieme degli alveari collocati in uno stesso luogo e vicini tra loro.
arnia: costruzione generalmente in legno predisposta a ospitare una famiglia d’api in condizione di allevamento.
cera: secrezione di speciali ghiandole addominali delle api, prodotta tramite la trasformazione di miele ingerito, con cui esse costruiscono i favi, che ospiteranno la covata, il miele e il polline.
covata: insieme di uova, larve, ninfe, pupe (cioè tutti gli stadi di sviluppo dell’ape prima di diventare adulta) all’interno delle celle di un favo.
cristallizzazione: il miele, che all’origine è allo stato liquido, tende a solidificare più o meno velocemente tanto più alta è la sua componente di glucosio. Questo fenomeno naturale è chiamato cristallizzazione. Mieli con un’alta componente di fruttosio (come il castagno e l’acacia), tendono invece a non cristallizzare mai o a cristallizzare dopo tanto tempo o solo parzialmente. La cristallizzazione assume consistenze e tipi di granulazione diverse a seconda del tipo di miele e della temperatura a cui avviene (a una temperatura di 14°, la cristallizzazione veloce e fine, a una temperatura intorno ai 20 gradi sarà più lenta e darà origine a cristalli più grossi).
diastasi: enzima presente nel miele e prodotto dalle api. Tende col tempo e con l’esposizione al calore a diminuire, ed è considerato come uno degli indicatori del livello di freschezza del miele.
disopercolare: operazione funzionale all’estrazione del miele che consiste nel dissigillare, manualmente o a macchina, l’insieme degli opercoli, le chiusure di cera con cui le api sigillano il miele nelle celle per meglio conservarlo.
famiglia (d'api): l’insieme delle api operaie, dei fuchi e della regina (che è sempre una sola per famiglia) che vivono in un’arnia.
favo: costruzione verticale di cera creata dalle api. I favi sono modellata su due facciate a cellette esagonali. Le cellette possono contenere miele, polline o covata.Nell’apicoltura moderna le api sono indotte a costruirla cera del favo all’interno di un telaino di legno. I telaini (di solito dieci in un’arnia) sono estraibili e spostabili. Nell’apicoltura di una volta, tradizionale o villica, veniva utilizzata un’arnia rustica che era un semplice contenitore vuoto (botticella, tronco d’albero cavo o altro) e che non prevedeva l’uso di telaini estraibili. I favi venivano costruiti in modo spontaneo dalle api, che li attaccavano saldamente alle pareti. Per estrarre il miele si ricorreva allora o all’uccisione delle api a fine stagione, o all’asportazione, con speciali pinze, di porzioni di favi contenenti miele.
fermentazione: è l’alterazione più comune nel miele, dovuta all’azione di lieviti che si sviluppano soprattutto in presenza di umidità elevata e si manifesta in un aspetto gassoso, schiumoso in superficie e in un aroma pungente, vinoso. E’ un difetto che non ha conseguenze negative sulla salute, ma solo sulla godibilità del prodotto.
flusso nettarifero: raccolto continuativo di nettare da parte delle api in relazione a una o più fioriture.
griglia escludiregina: griglia in acciaio che permette il transito delle api operaie, ma impedisce quello dell’ape regina, che è di dimensioni maggiori. Serve a evitare che la regina possa covare nel melario per ottenere un miele di qualità migliore.
HMF: idrossimetilfurfurale, composto che, contenuto in quantità inizialmente esigua nel miele, si forma successivamente per trasformazione del fruttosio in presenza di acidi: la sua quantità è un indice del grado di invecchiamento e/o di trattamento termico subito dal miele.
melario: parte rimovibile dell’alveare, contenente telaini destinati a essere riempiti del miele che le api raccolgono in più rispetto alle loro esigenze di sopravvivenza e che può essere asportato dall’apicoltore ed estratto. Viene sovrapposto alla parte fissa dell’arnia, che contiene il nido.
melata: escreto zuccherino emesso da diversi insetti, che vivono come parassiti su varie piante e ne succhiano la linfa, utilizzando solo la parte proteica. La parte zuccherina viene raccolta dalle api.
miele..
centrifugato: estratto con l’aiuto di una centrifuga o smelatore
torchiato: estratto per pressione dei favi
opercolato: immagazzinato dalle api nelle celle del favo e chiuso con un sigillo di cera per conservarlo
disopercolato: dissigillato dall’apicoltore per poterlo estrarre
non opercolato: non ancora racchiuso con un sigillo di cera da parte delle api
mieli monofloreali: tipologie di miele la cui diversità di caratteristiche organolettiche (colore, consistenza, aroma, sapore) è determinata dalla predominanza di una fonte di pascolo delle api (robinia, castagno, rododendro, ecc.). Questa specificità è verificabile in parte anche tramite analisi chimica e melissopalinologica.
nettare: è la secrezione zuccherina di ghiandole contenute nei fiori e costituisce il materiale grezzo da cui le api elaborano il miele.
nido: parte dell’alveare destinata alla riproduzione della famiglia, contiene covata e provviste.
nomadismo: pratica del trasporto di alveari per sfruttare, in luoghi e tempi diversi, diverse fioriture, ottenendo un raccolto complessivo maggiore e qualitativamente differenziato.
polline: è l’elemento maschile del fiore, si presenta come una polvere finissima, colorata diversamente a seconda del tipo di fiore di provenienza. Per le api costituisce una sorgente di sostanze proteiche.
sciamatura: processo naturale di moltiplicazione e rinnovamento delle famiglie d’api. Raggiunto un limite di sviluppo, in genere a primavera, le api allevano nuove regine mentre la vecchia regina emigra volando via dall’alveare insieme a circa la metà delle api, che si cercheranno una nuova dimora. La sciamatura può venire evitata o controllata dall’apicoltore asportando api e covata da una famiglia in procinto di sciamare e formando con questo materiale nuove famiglie, dette sciami artificiali. Avrà così riportato la famiglia a uno stadio di sviluppo precedente a quello critico.
sciame: la parte di una famiglia d’api che ha effettuato la sciamatura. A volte questo termine è usato come sinonimo di famiglia di piccole dimensioni.
telaino: costruzione in legno, mobile all’interno dell’arnia, destinata a essere riempita dalle api con un favo di cera.
umidità: è la componente d’acqua di un miele, che ne può contenere di solito dal 17 al 20%. L’umidità è un fattore importante perché influenza la conservazione del miele: si può dire che solo al di sotto del 17,5% un miele sicuramente non possa fermentare. Allontanandosi da questo limite verso l’alto, a seconda del tipo di miele ci saranno in maggior misura queste possibilità, che dipendono però anche dalla presenza di speciali lieviti. Esistono limiti legali all’umidità, un miele messo in commercio non può superare il 20%. Unica eccezione, il miele di calluna, che può avere fino al 23% di umidità, e i mieli industriali. L’umidità influenza anche la percezione dell’aroma: quando è troppo alta, l’aroma tende a essere molto volatile, quando è troppo bassa non è immediatamente percepibile, ma richiede di essere ben lavorato con la lingua e insalivato prima di poter essere gustato nella sua pienezza.
zuccheri: sono la componente preponderante del miele. I principali sono fruttosio e glucosio, in piccola misura sono presenti anche saccarosio, maltosio e altri.
Noto anche come “soffione” o “dente di leone”, il tarassaco (Taraxacum officinale, della famiglia delle asteracee) è una pianta erbacea perenne, comune nei luoghi erbosi di pianura e montagna in tutta l’Italia del Nord. Le foglie, fresche o cotte, hanno proprietà depurative e stimolanti le funzioni epato-biliari proprietà che a torto vengono attribuite anche al miele), la radice può essere usata come diuretico e, tostata, è stata a lungo usata come un surrogato del caffè.
Per la precocità della fioritura (febbraio-maggio) non sempre gli alveari si trovano abbastanza in forze, in quel momento della stagione, da dare all’apicoltore un raccolto consistente, il nettare si mescolerà allora a raccolti successivi. Questa precocità di produzione fa sì che presenti un contenuto d’acqua elevato che, se non corretto dall’apicoltore, può essere poco compatibile con una prolungata conservazione.
caratteristiche organolettiche: cristallizza in tempi rapidi finemente e venendo a formare una massa morbida e cremosa. Il colore è ambrato con riflessi gialli nel miele liquido, crema o giallo quando cristallizza. Sia all’odore che al gusto si rivela intenso, in bocca molto persistente. C’è una certa discrepanza tra l’odore e il sapore, che appare più fine.
Alcune parole o espressioni usate per descrivere l’odore: pungente, penetrante, volgare, di stalla, ammoniacale, di piedi, di botte, di vino cotto, di marsala, di aceto, di fiori della pianta essicati, di zolfo, di aceto, di fieno bagnato, di crosta di formaggio
Alcune parole o espressioni usate per descrivere il gusto/aroma: di infuso di camomilla, di spezie fresche, di caramella agli olii essenziali, di rancido, vanigliato
variazioni sul tema: il tarassaco può trovarsi miscelato al salice, assumendo allora un colore beige e riflessi rosati, oppure toni spenti se miscelato a crucifere o fruttiferi. In Trentino-Alto Adige la contemporaneità di fioritura rispetto al melo fa sì che esso assuma una nota più o meno forte che ricorda l’aroma della mela o il profumo dei fiori di melo.
La robinia o acacia (Robinia Pseudoacacia L.), è una pianta a portamento arbustivo o arboreo, appartenente alla famiglia delle leguminose, che può raggiungere i 20 metri d’altezza. Fu importata in Europa dal Nord America all’inizio del XVII secolo da Jean Robin, erborista del re Enrico IV di Francia, da cui prese il nome. In Italia apparve alla fine del XVIII secolo, prima come pianta ornamentale, poi per rassodare i terreni e gli argini delle strade e delle ferrovie. Il legno è buono da ardere.
In Italia la robinia è diffusa in tutte le regioni, ma quelle dove si produce miele in modo consistente sono il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Toscana, l’Abruzzo e la Campania.
Tra i diversi tipi di miele quello di robinia è senza dubbio il più estesamente conosciuto ed apprezzato in Italia. E' la qualità uniflorale più diffusa nei punti vendita della grande distribuzione; la produzione nazionale è largamente insufficiente a soddisfare le richieste e ogni anno ne vengono importati grandi quantitativi dai Paesi dell'Est Europeo (robinia ungherese, soprattutto) e dalla Cina. Alla base del suo successo sono le caratteristiche peculiari: colore chiaro, stato fisico liquido, odore e sapore leggeri e delicati. Queste qualità non si trovano riunite in nessuna altra produzione nazionale e sono molto apprezzate da chi si nutre di miele.
La caratteristica principale di questo tipo di miele risiede nell'alto contenuto in fruttosio, che è alla base della scarsa tendenza a cristallizzare e dell'elevato potere dolcificante. Dal punto di vista della composizione è inoltre caratterizzato dal basso contenuto in sali minerali, in enzimi e in acidità.
caratteristiche organolettiche
Il miele di robinia si presenta generalmente liquido;
può eventualmente presentarsi torbido per la formazione di cristalli, senza tuttavia raggiungere mai una cristallizzazione completa.
Il colore è sempre molto chiaro, da quasi incolore a paglierino.
Alcune parole o espressioni usate per descrivere l’odore: floreale fine, generico di miele, di cera nuova, leggermente fruttato, di carta, di fiori di robinia….
Il sapore è decisamente dolce,con leggerissima acidità. L'aroma è molto delicato, poco persistente e privo di retrogusto.
Alcune parole o espressioni usate per descrivere l’aroma: vanigliato, confettato, di mandorla dolce sbucciata…
La consistenza varia a seconda del contenuto d'acqua.
variazioni sul tema
Considerando la particolarità del nettare di robinia, anche piccole quantità di altri nettari che si aggiungano al raccolto principale possono produrre notevoli variazioni nelle caratteristiche del prodotto finale. Nelle zone dove la robinia non dà una copertura sufficiente il miele ottenuto sarà più spesso un millefiori che una robinia. A volte però anche raccolti aromatici precedenti (tarassaco nelle prealpi ed erica in Toscana) o, più raramente, seguenti (ailanto, melate) possono "contaminare"il miele robinia.
Gli effetti sono evidenti sull'aroma (si ritrovano spesso robinie con leggero aroma di tarassaco, di melo, di crucifere, di erica, di ailanto), sul colore (una traccia di erica o di melata può inscurire notevolmente il raccolto), sulla composizione e, conseguentemente, sulla cristallizzazione.
Per ridurre l'incidenza di questi problemi è indispensabile da parte dell’apicoltore una buona conoscenza del territorio e delle risorse nettarifere, tempismo nella posa e nel prelievo dei melari, in modo da isolare il flusso nettarifero proveniente dalla robinia,una adeguata sorveglianza degli alveari e del lavoro delle api.
eventuali difetti
Nel miele di robinia, dall'aroma così delicato, odori e sapori estranei sono facilmente percepibili: l’apicoltore deve perciò utilizzare con molta parsimonia il fumo per calmare le api, e, nei trattamenti contro l’acaro parassita varroa, utilizzare il timolo lontano dai periodi di raccolta. Entrambi le sostanze potrebbero lasciare una traccia aromatica nel miele di robinia. Anche lo stato dei favi da melario, in cui le api immagazzinano il miele che sarà poi raccolto dall’apicoltore, è quanto mai importante: in favi da melario eccessivamente vecchi o che abbiano contenuto covata il miele che vi venga immagazzinato potrà presentarsi più scuro e sprigionare lo stesso odore dei favi.
L’ailanto (Ailanthus Altissima della famiglia delle Simaroubacee) è stato importato nel XVIII secolo dall’Asia orientale (Cina e Corea del Nord), per un tentativo di allevamento del lepidottero Philosamia cynthia, originario dell'estremo Oriente per la produzione della seta. Viene anche chiamato “Albero che arriva al cielo” o “Albero del Paradiso”, per la grande altezza che può raggiungere nelle isole Molucche (oceano Indiano), luogo originario di questa pianta. Può essere considerato una pianta ornamentale, ma è anche molto temuto come infestante, tanto che in Svizzera, è stato inserito nella “Lista Nera” delle piante esotiche invasive dalla commissione per la conservazione delle piante selvatiche. Si inselvatichisce facilmente, in particolare nelle zone periurbane, bordi stradali, stazioni e linee ferroviarie, zone industriali, ruderi, muri, aiole, margini forestali, prati naturali, arrivando agli 800 metri di altezza. Può provocare danni sia alle costruzioni, sia agli ambienti naturali e alla vegetazione indigena, creando ombra e invadendo il suolo con le radici, da cui può ricacciare abbondantemente, mentre i semi alati possono volare sul lunghe distanze. Tollera la presenza di sale nel suolo, la siccità e l’inquinamento atmosferico.
Fiorisce in giugno.
Si possono avere delle produzioni monofloreali in tutta Italia. Ogni anno di più il miele di ailanto influenza le caratteristiche di molti mieli millefiori estivi, e può anche alterare quelle di mieli come l’acacia (a cui è immediatamente successivo come fioritura) o il tiglio (contemporaneo).
caratteristiche organolettiche: Colore ambra quando è liquido, ambra chiaro quando è cristallizzato, odore e aroma di media intensità, cristallizza spontaneamente pochi mesi dopo il raccolto
Alcune parole o espressioni usate per descrivere l’odore: leggermente fruttato, di funghi freschi
Alcune parole o espressioni usate per descrivere il gusto/aroma: fruttato, di latte di fico,di uva moscata, di thè alla pesca (retrogusto).
Per il suo gusto decisamente fruttato e per la sua caratteristica “avvolgente”, il miele di ailanto si sposa molto bene con macedonie e gelati con la frutta o alla frutta, riuscendo ad armonizzare anche una varietà di sapori diversi.
E’ rappresentato da una sola specie, (Castanea Sativa, della famiglia delle fagacee) ed è una pianta che può raggiungere i 30 metri di altezza, formando grandi foreste sulle alpi e sugli Appennini. Dà il nome a un tipo di zona forestale, il castanetum, e l’intervento dell’uomo l’ha portato a uscire dalla sua area di distribuzione tipica. Il castagneto da frutto rappresenta una vera e propria coltivazione agricola per la cura costante che comporta da parte del proprietario. Oggi però la castanicoltura è in netto regresso, sia perché è venuta meno la sua importanza di nutrimento povero per le popolazioni montanare, sia per la comparsa di due funghi parassiti: il cancro del castagno e il mal dell'inchiostro. Questi due fenomeni hanno portato alla rinaturalizzazione di molti castagneti da frutto, con la formazione di un bosco misto di maggior valore naturalistico. Molto diffuso è stato anche il governo a ceduo per ricavare pali per l’agricoltura, ma in molti casi questi cedui hanno subito un abbandono e iniziato a evolversi verso una formazione a fustaia mista con altre latifoglie.
Il castagno fiorisce a giugno e luglio.
caratteristiche organolettiche
Il miele di castagno tende a rimanere liquido, a causa della forte componente di fruttosio. L’eventuale cristallizzazione è molto lenta, non sempre regolare. Il colore è ambrato scuro, con tonalità rossiccio-verdastre nel miele liquido; se cristallizzato, assume un colore marrone. Sia l’odore che l’aroma sono intensi, è poco dolce, amaro, molto persistente.
alcune parole o espressioni usate per descrivere l’odore:
aromatico, pungente,acre, verde, vegetale/erbaceo, di legno, di tannino, fenolico, amaro, di ceci lessati, di cartone bagnato, di sapone di Marsiglia
alcune parole o espressioni usate per descrivere il gusto/aroma: simile all’odore
variazioni sul tema: il castagno si presenta spesso, misto a tiglio (in questo caso viene familiarmente chiamato “castiglio”), a causa della sovrapposizione delle fioriture. Prende allora una nota medicinale, mentolata. Se misto a melata, il colore è più scuro, il sapore meno amaro rispetto a quando è totalmente di nettare.
Il miele di castagno è una delle principali produzioni nazionali, ma ha fatto fatica ad affermarsi nei gusti di chi acquista il miele, sia per il colore scuro, sia per l’aroma forte e amaro. Solo dagli anni ’80 ha cominciato ad avere un suo mercato. Prima molti apicoltori praticavano addirittura una transumanza “di fuga” per evitare di produrlo.
E’oggi uno dei mieli più utilizzati in cucina e in abbinamento con formaggi soprattutto stagionati (pecorini, caprini), ma anche con ricotta.
Le origini della colza (Brassica napus oleifera della famiglia delle crucifere) sono incerte (ma probabilmente è originaria dell’ Europa temperata); oggi è coltivata soprattutto in Cina, India, Canada ed Europa Centrale. In tempi antichi, intorno al 1200, nei paesi del Nord Europa si usava l'olio di colza per alimentare gli impianti di illuminazione pubblica. In Italia è presente ovunque, ma soprattutto al centro-nord, e la superficie di volta in volta coltivata varia in funzione delle politiche comunitarie. E’ coltivata come foraggera da erbaio e per la produzione di granella: il seme contiene in media il 45% di olio, che contiene sempre dal 4 al 10 % di acido linoleico, uno degli acidi grassi essenziali che appartiene al gruppo degli Omega 6. Nelle vecchie varietà conteneva fino al 50% di acido erucico, poco stabile e probabilmente tossico. La legge impone in effetti che nell'olio di semi vari e nelle margarine non sia presente una quantità maggiore al 5% di acido erucico. La possibilità di usarlo, sia pure in piccola percentuale, ha una giustificazione di carattere economico: l'olio di colza costa poco e il suo uso è molto diffuso negli oli e grassi utilizzati dalle industrie alimentari. Oggi sono disponibili varietà prive di acido erucico: l'olio alimentare deve avere questa caratteristica, mentre al contrario, per l'industria non alimentare, è richiesto alto contenuto di acido erucico. In Italia l’olio di colza viene prodotto soprattutto a scopo industriale, come ingrediente per la produzione di biodiesel. Il biodiesel prodotto in Europa proviene per tre quarti da colza e per un quinto da girasole.
La mattonella formata per compressione dei residui solidi della spremitura dei semi oleosi, detta panello, viene usata per l'alimentazione di animali Nell'Italia settentrionale la semina viene fatta in settembre; al Sud fino a novembre. Per resistere al freddo invernale le piantine dovrebbero trovarsi con almeno 6-8 foglie e avere un fittone lungo circa 7-9 cm.
Simile alla colza, il ravizzone (brassica campestris oleifera), coltivato soprattutto nella Pianura Padana come erbaio e per la produzione di olio.
La fioritura primaverile inizia ad aprile e po’ durare per tutto maggio.
Il miele di colza, molto diffuso in altri paesi europei, in Italia è piuttosto raro. La colza è particolarmente ricca di polline, quindi di proteine, e quindi, dal punto di vista delle api, ideale per l’allevamento di nuova covata. Questa caratteristica, che stimola lo sviluppo degli alveari a primavera, è probabilmente la causa delle facili e incontrollabili sciamature, difficilmente paragonabili all’effetto di qualsiasi altro raccolto. Per questo la colza viene usata più per riproduzione delle famiglie d’api che non per la produzione di miele. Anche il fatto che il miele di colza cristallizzi molto velocemente, a volte già nel favo, e venga prodotto con un livello alto di umidità lo rende un miele non facile da gestire. In compenso, la sua tendenza a cristallizzare formando cristalli finissimi lo rende adatto a “inseminare” (con piccolissime quantità) altri mieli per orientarne la cristallizzazione verso un miele cremoso.
caratteristiche organolettiche: colore ambra chiaro quando è liquido, beige con tonalità grige quando è cristallizzato, odore e aroma di media intensità, leggermente acido, persistente in bocca, a volta con retrogusto; cristallizza rapidamente e finemente in una massa pastosa
Alcune parole o espressioni usate per descrivere l’odore: sulfureo, di cavolo cotto, di crosta di formaggio fermentato, di cipolla cotta, di crauti, vegetale, di verza, di rapa, di paglia fermentata, di gorgonzola, di brie
Alcune parole o espressioni usate per descrivere il gusto/aroma: le stesse usate per l’odore ma in un insieme più gradevole
Per il suo sapore “vegetale”, il miele di colza può dare un tocco sorprendente a preparazioni di cucina salate.
Il girasole (Helianthus annuus, famiglia delle composite) è originario del Perù. L’importanza della coltivazione di girasole come pianta oleaginosa varia di anno in anno in funzione delle superfici destinate alla coltivazione. La produzione di miele avviene soprattutto nel centro Italia. Non tutte le varietà di girasole sono ugualmente nettarifere, per diversi anni dalla fine degli anni ’90 a buona parte degli anni 2000 si è assistito a un calo della produzione, dovuto probabilmente alla scelta di varietà poco nettarifere, e accentuato da una serie di annate secche. Negli ultimi anni si è manifestata una ripresa. Alcuni pesticidi usati per trattare il girasole si sono rivelati nocivi per le api, scoraggiando in alcuni casi gli apicoltori dal portare gli alveari su questa fioritura. Fiorisce a luglio-agosto.
colore: giallo vivo.
cristallizzazione: variabile ma sempre rapida.
alcune parole o espressioni usate per descrivere l’odore: leggero, di paglia, di cera, di polline, di fieno appena tagliato, di foglia di pomodoro, di conserva di pomodoro, di ananas, di frutto della passione.
alcune parole o espressioni usate per descrivere il sapore: simile all'odore, leggermente erbaceo, con una sensazione "rinfrescante", simile allo zucchero fondente, nei mieli a cristallizzazione più fine, fruttato, di albicocche mature, con retrogusto di anice stellato.
usi: come miele da tavola, ma molto utilizzato anche in pasticceria e dall'industria alimentare.
variazioni sul tema
Il miele di girasole può essere “contaminato” da un raccolto immediatamente precedente di castagno (assumendo allora un colore di tonalità più scura e una nota amara), o da raccolti concomitanti di melata di metcalfa (tonalità più scura e nota maltata o di conserva), di eucalipto (nota “animale” all’olfatto e al gusto) o trifoglio (cristallizzazione fine e colore più chiaro tendente al beige, sapore solo leggermente fruttato).
Normalmente viene usata la generica denominazione “melata d’abete”, sia che si tratti di abete bianco che di abete rosso. Ma esistono delle differenze rimarcabili tra i due tipi di melata. A volte, quando in un territorio sono presenti entrambi i tipi di abete, è possibile avere un miele che miscela le caratteristiche del bianco e del rosso.
melata d'abete bianco (Abies Alba, della famiglia delle pinacee)
L’abete bianco è diffuso sia sulle Alpi che sugli Appennini, forma estese foreste, spesso associato al faggio o ad altre conifere, nella fascia tra i 400 e i 1800 metri di altitudine, può crescere alto fino a 50 metri. Viene utilizzato nel rimboschimento o utilizzato per essenza da legno. La produzione di melata avviene per l’attacco di insetti dell’ordine dei rincoti, in genere da luglio a settembre.
caratteristiche organolettiche: Il miele di melata resta liquido a lungo, è molto vischioso e raramente cristallizza in modo completo, ha un colore da ambra scuro a quasi nero, talvolta con sfumature verdastre. All’odore e al gusto è di intensità media, e in bocca è poco dolce e persistente.
La melata di abete bianco è più intensa di quella di abete rosso.
Alcune parole o espressioni usate per descrivere l’odore: affumicato, acido isolvalerianico, cotto, latte condensato, bruciato, resina, bosco umido, balsamico, pino mugo, maltato,vegetale putrido, incenso, caramello
Alcune parole o espressioni usate per descrivere il gusto/aroma: legno bagnato bruciato, resina, cera, caldo, resina, cotto, leggermente bruciato, scorza candita, speck, sciroppo di germogli di pino mugo, maltato, affumicato, liquirizia, balsamico, caramellato
E’ un miele eminentemente da tavola, ma anche abbinabile a formaggi sia freschi che stagionati (grana!), e buono per accompagnare lunghe cotture
variazioni sul tema: in un miele di alta montagna può riconoscersi da una sfumatura scura al colore e dall’aroma tipico la presenza di melata d’abete.
melata d'abete rosso (Picea excelsa, della famiglia delle pinacee)
L’abete rosso ha una distribuzione quasi esclusivamente alpina, soprattutto nelle valli aride e catene interne tra 1000 e 1900 metri di altitudine. E’ utilizzato nei rimboschimenti, a scopo ornamentale (albero di Natale) o come essenza da legno o da resina (vernici). I violini Stradivari erano costruiti col legno di abete rosso. La produzione di melata avviene in seguito all’attacco di insetti (alcuni dei quali diversi da quelli che attaccano l’abete bianco), in genere da luglio a settembre.
caratteristiche organolettiche: Il miele di melata resta liquido a lungo, è molto vischioso e raramente cristallizza in odo completo, ha un colore da ambrato chiaro a scuro, talvolta con sfumature rossastre. All’odore e al gusto è di intensità media, e in bocca è poco dolce e persistente.
La melata di abete rosso è meno intensa di quella di abete bianco.
Alcune parole o espressioni usate per descrivere l’odore: legno bagnato bruciato, caramellato, animale, leggermente, resinoso, cioccolato, pasticceria, torta, vegetale (se spalmato), zucchero a velo, latte condensato, pandoro, vanillina, pasticceria, maltato, salato, incenso, affumicato, liquirizia, dolce cotto
Alcune parole o espressioni usate per descrivere il gusto/aroma: affumicato, caramellato, latte condensato, cotto, malto, panna cotta, (poco) resinoso, candito affumicato, leggermente amaro, rinfrescante,mentolo, maltato , vegetale cotto, latte cotto, poco balsamico
variazioni sul tema: in un miele di alta montagna può riconoscersi da una sfumatura scura al colore e dall’aroma tipico la presenza di melata d’abete.
Il nome deriva dal greco “rhòdon” (rosa) e déndron (albero), per il caratteristico colore rosa di molte sue specie (altre possono essere bianche o gialle). E’ una pianta arbustiva (Rhododendron L. della famiglia delle ericacee) che cresce in terreni soleggiati, ad altezze tra gli 800 e i 1300 metri. Fiorisce dalla metà di giugno alla fine di luglio. Solo recentemente il rododendro è diventato una produzione abbastanza comune, perché solo in tempi recenti si sono resi disponibili mezzi e strade con cui sostenere una non facile transumanza, soprattutto nelle quote più alte. Il miele di Rododendro viene prodotto in Italia in tutte le regioni dell’arco alpino: Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige e in minor misura Friuli-Venezia Giulia. A causa delle instabili condizioni meteorologiche, la produzione è, di anno in anno, molto irregolare e sicuramente il rododendro può definirsi un prodotto di nicchia. Molto spesso la produzione non è sufficiente a soddisfare la richiesta. Esso viene sicuramente molto apprezzato per le caratteristiche organolettiche, ma anche in quanto raccolto in zone incontaminate di alta montagna.
caratteristiche organolettiche: il miele di rododendro si presenta allo stato liquido da incolore a giallo paglierino chiaro, cristallizzato da bianco a beige chiaro.
L’odore è molto debole, etereo. Il sapore normalmente dolce, fine, poco persistente.
Alcune parole usate per descrivere l’odore: leggermente pungente, di propoli, di cimice, vegetale, di anguria, di muschio, fruttato, di cosmetico, di fiori bianchi e neve.
Alcune parole usate per descrivere il gusto/aroma: simile all’odore, di sciroppo di zucchero, di marmellata di frutti di bosco, vegetale.
variazioni sul tema
Un rododendro in purezza monofloreale è piuttosto raro e i mieli definiti abitualmente di rododendro presentano un aroma più intenso rispetto a quello descritto, dovuto alla presenza di altre specie. Sono comuni mieli di rododendro con un aroma floreale/fruttato dovuto al lampone o con odore pungente dovuto al timo.
Il tiglio (Tilia cordata e Tilia Platyphyllos, Tilia americana della familia delle Tiliacee) è tra gli alberi più belli e più alti delle zone temperate. E’ un albero a foglie cadute, che può crescere fino a 20 metri. Il Tiglio selvatico (cordata) è autoctono in tutta l’Europa e la Russia Occidentale, mentre quello nostrano viene dall’Europa Centrale e Meridionale. In Italia è presente su tutta la penisola, ma più frequente nelle regioni centro settentrionali e si spinge fino a 1500 metri. Il tiglio platyphyllos è in genere coltivato a scopi ornamentali, così come il tiglio americano. La diffusione del tiglio è oggi molto limitata per la sostituzione, nelle posizioni più favorevoli, dei boschi spontanei con colture. Sul tiglio può prodursi melata, per attacco di insetti quali l’Eucallipterus Tiliae. Il miele si produce sia nell’arco alpino che in zone urbane o suburbane, sui tigli coltivati. Fiorisce da maggio a luglio. I fiori sono usati in farmacologia per infusi calmanti ed emollienti.
caratteristiche organolettiche: il miele di tiglio cristallizza in ritardo formando per lo più cristalli grossi e irregolari. Il colore va da ambra chiaro a ambra, con riflessi giallo-verdi nei mieli più puri, quando è liquido; quando è cristallizzato da avorio a beige. All’odore è di intensità media-forte. Così al gusto, ed è molto persistente.
Alcune parole o espressioni usate per descrivere l’odore: fresco, mentolato, balsamico, di farmacia o medicinale, di tisana di fiori di tiglio, di incenso, di resina
Alcune parole o espressioni usate per descrivere il gusto/aroma: rinfrescante, di mentolo e canfora, di medicinale, di noce fresca, di erbe officinali, di salvia e lime, con un finale agrumato e amaro.
variazioni sul tema: è' spesso in miscela con quantità più o meno abbondanti di melata della stessa origine, prendendo un colore più scuro. Può essere mescolato a castagno (formando in varie gradazioni quello che viene familiarmente chiamato “castiglio”), prende anche in questo caso un colore più scuro e la nota amara, tannica tipica del castagno. Può essere anche miscelato all’ailanto, e allora la sua lunga persistenza in bocca si accentua e prende una nota di thè alla pesca. E’ controverso il perchè ci possano differenze tra il tiglio di montagna e il tiglio di pianura, coltivato: differenze che si ripercuotono sul sapore, che prende a volte una nota greve, vegetale, poco fine, nel tiglio di pianura. Si tratta di una differenza di varietà di tiglio, o di flora di accompagnamento?
Il miele di tiglio, oltre a sposarsi per affinità con tisane d’erbe, è un ingrediente duttile in una varia serie di specialità gastronomiche.
Borragine Calluna Ciliegio Cipolla Erica Carnea
Lupinella Mandorlo Melata di quercia
Marasca Marruca Nespolo del Giappone Rovo
Santoreggia Stregonia
Borragine (borago officinalis della famiglia delle boraginacee)
Probabilmente originaria della Spagna e del Marocco, questa pianta è diffusa in tutta l'Italia, dove cresce spontanea fino a 1000 metri d'altezza, soprattutto tra i luoghi incolti e le macerie; ama un terreno ricco, sciolto e privo di ristagni d'acqua. Il suo nome potrebbe provenire dal latino "borra" (tessuto di lana ruvida) per la peluria che ricopre le foglie. E’ usata come pianta officinale, dai semi si estrae l'olio gamma 3 linolenico (GLA; 18:3.OMEGA.6), che ha notevolissimi utilizzi, soprattutto nutrizionali, dietetici, medicinali, cosmetici.
Fiorisce tra aprile e agosto (gennaio-aprile in Sicilia)
In Italia sono possibili produzioni nelle zone centromeridionali della costa adriatica.
caratteristiche organolettiche: il miele è di colore bianco, profumo e aroma delicatamente aromatici, floreali, cristallizzazione fine.
Calluna o brugo (Calluna vulgaris della famiglia delle ericacee)
La calluna è un arbusto che si può trovare dalla pianura sino a 2700 m . E' arbusto tipico della brughiera (presente in Italia nell' alta pianura padana lombarda e piemontese) dove forma complessi densi e tappezzanti, e di boschi di conifere e pascoli magri . Vegeta su sabbie e suoli torbosi e costituisce spesso anche il sottobosco del Pino silvestre. Si consocia con mirtillo, ginepro e ginestre. È una fonte di nutrimento importante per diversi animali come pecore o cervi, che possono nutrirsi degli apici delle piante quando la neve copre la vegetazione bassa. Le pernici si nutrono di giovani germogli e di semi.
Fiorisce da agosto a novembre.
La produzione di miele uniflorale di calluna rappresenta in Italia una rarità in Italia confinata a piccole aree, mentre è un prodotto importante e ben conosciuto nelle regioni di influenza oceanica o di montagna del nord Europa.
Il miele di calluna è noto per una sua particolare caratteristica fisica: viene definito tixotropico, si presenta cioè in uno stato gelatinoso e si fluidifica se sottoposto ad agitazione o vibrazione. Lasciato a riposo riacquista lo stato gelatinoso. Questa proprietà, dovuta alla presenza di una proteina colloidale, rende difficile l'estrazione di questo miele. In passato poteva essere estratto solo per pressatura. La soluzione più moderna è rappresentata da particolari attrezzature (picoteuses) che permettono di agitare il contenuto delle celle dei favi prima della centrifugazione. Un'altra caratteristica costante è rappresentata dall'elevato contenuto d'acqua e di conseguenza una notevole predisposizione alla fermentazione.
caratteristiche organolettiche: il miele di calluna si contraddistingue per un colore piuttosto scuro, rossastro. I cristalli che si formano nel prodotto stabilizzato con pastorizzazione hanno sempre un aspetto molto caratteristico, molto grossi, separati uno dall'altro, di forma stellare. L'odore è intenso, florale, caratteristico, simile al profumo artificiale di miele che viene usato per aromatizzare alimenti e cosmetici. Il sapore è simile all'odore e leggermente amaro (più amaro nei mieli meno umidi).
Ciliegio (Prunus avium della famiglia delle rosacee)
Il ciliegio è un albero di origine asiatica in grado di diffondersi spontaneamente. La prima coltivazione vera e propria è databile dal IV secolo avanti Cristo, in Grecia, in Italia si diffuse nel secolo successivo e nell’arco di 120 anni raggiunse tutta l’Europa. I suoi usi non sono esclusivamente legati alle ciliegie, ma anche alla creazione, col suo legno, di mobili e strumenti musicali. In Italia è diffuso su tutto il territorio, le possibilità di produrre in quantità significative miele uniflorale esiste quasi soltanto nelle zone di grande coltivazione (Emilia-Romagna e Puglia). Fiorisce da aprile a maggio
caratteristiche organolettiche: il colore è abbastanza chiaro, bianco grigiastro una volta cristallizzato. La cristallizzazione, relativamente rapida, dà generalmente origine a una massa pastosa, con cristalli fini. L'aroma ricorda quello del fiori dai quali derivano (e delle Rosacee in genere) e può essere avvicinato a quello della mandorla amara o dei noccioli di ciliegia.
Cipolla (Allium cepa, della famiglia delle liliacee)
La cipolla è il bulbo di una pianta erbacea biennale o triennale, originaria dell’Asia occidentale (ancora ai nostri giorni si trovano esemplari selvatici sui monti dell'Afghanistan, del Turkestan e dell'Iran), apprezzata da Romani, Egizi e Greci.
È utilizzata nei condimenti per il suo aroma che è causato da composti solforati responsabili anche dell'effetto lacrimogeno, ma anche come verdura sia cotta che cruda.
Esistono diverse varietà di cipolle che si differenziano tra di loro sia per l'utilizzo finale (consumo fresco, stoccaggio, produzione industriale per sottaceti), sia per l'aspetto esteriore (bianche, dorate, rosse, sferiche o ovali). Tra le più pregiate, quelle ovali di Tropea, rosse e dolci, coltivate nella zona di Tropea, Ricadi, Capo Vaticano. Altre varietà comuni la borrettana, la ramata di Montoro, la cipolla di Suasa, la cipolla rossa di Aquaviva delle Fonti
Fiorisce da giugno ad agosto.
Il miele si produce in tutta Italia, nelle zone coltivate.
caratteristiche organolettiche: il colore è variabile, sia l’odore che il sapore sono molto caratteristici, simili a quelli della pianta intera.
Erica carnea (Erica carnea, della famiglia delle ericacee)
Tipica delle Alpi, Appennini settentrionali ed Alpi Apuane; vive a quote fino ai 2500 m s.l.m. in prati e pascoli, su pendii rocciosi e soleggiati e nelle zone luminose al limitare dei boschi di conifere.
Fiorisce a marzo-aprile, ed è un miele raro perché è difficile, in località di montagna, avere già presto a primavera le famiglie d’api già abbastanza forti per produrre miele in eccedenza rispetto alle loro esigenze di sviluppo primaverile. Esiste qualche rara produzione nel Trentino e nel Bellunese.
caratteristiche organolettiche: colore ambra chiaro, giallo chiaro quando cristallizzato,odore e aroma di media intensità e persistenza
Alcune parole o espressioni usate per descrivere l’odore: caldo, caramella mou, cioccolato, erbaceo, leggermente animale, formaggio, leggermente pungente, punta di acidità, resinoso, leggermente ammoniacale, caramellato, vegetale di fieno secco e fiori secchi, frutti secchi, liquirizia, camomilla.
Alcune parole o espressioni usate per descrivere il gusto/aroma: mentolato, caramella mou, caramella al miele, yogurt, mela cotogna, fresco, caramella d’orzo, irritante, fruttato, di frutta conservata.
Lupinella (Onobrychis viciifolia della famiglia delle leguminose)
La pianta è originaria delle regioni calcaree e aride dell’Asia e dell’Europa centrale e meridionale, è una foraggera molto rustica che si adatta bene alle più svariate condizioni pedoclimatiche, ai terreni molto calcarei, ghiaiosi o sabbiosi, e sopporta le temperature elevate e la siccità. Durante gli stadi giovanili non sopporta il freddo ma, ad impianto affermato, resiste a temperature molto basse. Fiorisce da maggio ad agosto. Il miele si produce nelle zone collinari e montane dell'Italia settentrionale e centrale. Raramente monofloreale, è una componente importante dei millefiori di montagna.
caratteristiche organolettiche: il colore è giallo-ambra molto chiaro, quasi bianco; tende a cristallizzare formando cristalli piccoli e assumendo un aspetto compatto; il profumo è molto leggero, di debole intensità, floreale. Il sapore è molto delicato, con leggera nota fruttata.
Mandorlo (Prunus dulcis della famiglia delle rosacee)
Originario dell’Asia sud-occidentale, è una delle piante da frutto di più antica coltivazione. Poiché il frutto del mandorlo selvatico contiene un principio potenzialmente tossico, la pianta domestica sembra essere il prodotto di una selezione su piante mutanti operata da antichissimi agricoltori: i mandorli domestici appaiono infatti già nella prima parte dell'Età del bronzo (3000-2000 a.C.). Vennero introdotti in Sicilia dalla Grecia, per opera dei Fenici (in effetti i romani chiamavano la mandorla "noce greca"). In seguito si diffuse in Francia, Spagna e quasi tutti i paesi del Mediterraneo. La produzione di miele è soprattutto da Puglia e Sicilia, dove viene maggiormente coltivato, e come in molti altri casi la sua rarità è dovuta al periodo di fioritura, precoce rispetto allo sviluppo delle famiglie d’api.
Fiorisce da gennaio a marzo.
caratteristiche organolettiche: colore molto chiaro, odore e aroma di intensità debole o media, all’olfatto e al gusto richiama il profumo dei fiori o l’aroma della mandorla.
Melata di quercia (Gruppo di Quercus robur della famiglia delle Fagacee).
Proviene da diverse specie di piante caducifoglie appartenenti alla famiglia delle Fagacee. Le 3 più diffuse sono Quercus petraea, Quercus robur, e Quercus pubescens e crescono in terreni boscosi da 0 fino a 1200 metri di altezza. Il periodo di produzione della melata varia a secondo della specie di insetto che la produce: da aprile a giugno Kermes quercus; a giugno Lachnus iliciphilus; da maggio a luglio Lachnus roboris; da giugno a luglio Tuberculatus annulatus; da maggio a settembre Thelaxes dryophila. La produzione di questo miele riveste una certa importanza soprattutto in regioni del centro Italia quali Lazio, Marche Abruzzo, Umbria e Toscana, ma è molto incostante.
caratteristiche organolettiche: colore scuro o molto scuro, tende a cristallizzare in grani medi o grossolani formando una massa compatta ma non dura; odore e aroma di media intensità, di tipo caramellato, frutta secca o anche lievito di birra, malto; poco dolce.
Marasca o ciliegio canino (Prunus Mahaleb della famiglia delle rosacee)
E’ una pianta molto rustica, originaria del Centro Europa e presente un po’ ovunque in Italia. Predilige terreni non troppo freddi, calcarei o argillosi. Viene utilizzata come portainnesto per alcuni ciliegi. Fiorisce da aprile a maggio.
La produzione di miele è dal Carso goriziano e triestino.
caratteristiche organolettiche: ambrato scuro, rossiccio, cristallizza lentamente, l’ odore e l’aroma sono di media intensità, con nota che richiama la confettura di ciliegie, il nocciolo delle ciliegie, la mandorla amara. Lo sciroppo di amarene, quasi di tipo "medicinale".
Marruca (Paliurus spina-christi della famiglia delle rhamnacee)
E’ un arbusto spinoso, specie sud-est-europeo.pontica La leggenda vuole che sia la pianta con cui è stata preparata la corona di spine che fu posta sul capo di Cristo durante la crocifissione.
In Italia si trova un po’ dappertutto nelle zone collinari, tranne nelle isole, nelle zone più a Sud (dalla Basilicata in giù) e nelle Alpi. La produzione di miele è soprattutto da Maremma, Viterbese e Abruzzo. E’ usata per la realizzazione di siepi impenetrabili o per rinverdire luoghi inaccessibili.
Fiorisce a maggio-luglio.
caratteristiche organolettiche: colore ambrato, tende a cristallizzare progressivamente
Odore e aroma di media intensità, non particolarmente caratteristici.
In bocca si evidenzia una nota caramellata, di cotto.
Nespolo del giappone (Eryobtrya japonica, della famiglia delle rosacee).
Il Nespolo del Giappone è una pianta originaria della Cina orientale, dove è ancora coltivato, così come in Giappone, in zone temperato-calde. Fin dalla sua introduzione in Europa, avvenuta nel XVIII secolo dal Giappone, questa specie è stata e viene ancora oggi impiegata a scopo ornamentale e paesaggistico, in tutto l’areale mediterraneo. A partire dal XIX secolo, grazie alla selezione realizzata dagli agricoltori, le varietà con frutti più grossi sono state utilizzate anche per l'alimentazione. La coltivazione del nespolo del Giappone come fruttifero viene effettuata in Spagna, nella Valencia, in Italia, nella provincia di Palermo, e un po' in Calabria. Esistono due differenti frutti che vengono indicati con il nome di nespola: il frutto di Eriobotrya japonica (nespolo giapponese) quello ad oggi maggiormente commercializzato e conosciuto, e il frutto del nespolo comune. Generalmente consumati freschi, risultano caratterizzati da polpa fondente, agro-dolce, profumata e rinfrescante. Possono essere inoltre utilizzati per la produzione di prodotti trasformati quali marmellate, succhi.
La pianta fiorisce tra ottobre e febbraio.
Il miele di nespolo del Giappone è limitato, in Italia, alla Sicilia.
caratteristiche organolettiche: da quasi incolore a ambra chiaro, quando liquido; da bianco perlaceo a beige chiaro, con tonalità poco brillanti, quando cristallizzato. Cristallizza spontaneamente in tempi abbastanza rapidi, formando una massa morbida di cristalli fini e fondenti. L’odore è molto floreale, richiama il profumo dolce di alcuni cosmetici o profumi da toilette; in bocca è rinfrescante, di media intensità, può ricordare la mandorla amara o i noccioli di mela, con una nota floreale di giglio, richiama le sensazioni olfattive.
Rovo (Rubus, varie specie della famiglia delle rosacee).
Il rovo è una pianta molto comune, che ama il sole e cresce spontanea ai margini dei boschi o negli incolti, dove spesso crea fitti cespugli impenetrabili. E’ noto per i suoi frutti nerastri o violacei, le “more”, commestibili, profumate e di buon sapore. Il nome della pianta deriva con tutta probabilità dal latino “ruber” (rosso) per somiglianza col colore delle more. La pianta è indicativa di terreni profondi e leggermente umidi. E’ considerato un infestante, difficile da eradicare. Fiorisce tra maggio e luglio.
Si produce in tutta Italia, è raro come monoflora ed è più facile trovarlo come componente di millefiori estivi.
caratteristiche organolettiche: il colore va da ambrato a ambrato scuro. L’odore è mediamente intenso, così come il sapore, che può essere descritto come di frutto maturo, di confettura, di latte condensato, con una nota di rosa.
Santoreggia (satureja montana, della famiglia delle labiate)
E’ originaria dell’Asia occidentale. In Italia è diffusa in zone aride, a Nord e al Centro, fino a 1500 metri di altitudine. Fin dall’antichità è usata per aromatizzare le pietanze. Fiorisce da luglio a settembre. La produzione di miele è soprattutto da Abruzzo e Puglia.
caratteristiche organolettiche: colore chiaro, tendente al giallo/verde quando liquido, o grigio/verde quando cristallizzato. Odore e aroma di media intensità con una nota che richiama la terra bagnata, la muffa.
Stregonia (sideritis syriaca, della famiglia delle labiate).
La specie è nativa dei paesi del mediterraneo orientale fino all’Asia Centrale. In Italia è diffusa in Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia (sulle Madonie). Cresce tra i 1500 e i 1900 metri, in ambienti di gariga o di prateria mediterranea. Il nome scientifico (già utilizzato fin da Dioscoride e Plinio) deriva dal greco sideros= ferro, probabilmente per la capacità di alcune piante di questo genere di curare le ferite prodotte dalle armi di ferro.
Fiorisce da maggio a luglio. Una produzione uniflorale si ha quasi solamente in Abruzzo (in Sicilia raramente, da una specie dello stesso genere, Syderitis Romana).
caratteristiche organolettiche: colore molto chiaro; profumo molto delicato, aroma molto fine, leggermente floreale; può cristallizzare anche dopo un anno.