2011
Scrive l’Oncologo Franco Berrino dell’Istituto Tumori di Milano nel suo ultimo libro
ICEA – Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale
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COMUNICATO STAMPA (6-12-2011)
Operazione Gatto con gli Stivali,
Icea da mesi al fianco della GdF
“Ma responsabilità di singoli
non gettino fango sul settore”
Sulla maxifrode bio scoperta a Verona interviene l’Istituto Certificazione Etica e Ambientale, che ha anche adottato
un proprio codice di misure antifrode
“Da mesi stiamo collaborando all’inchiesta della GdF veronese sulla maxifrode del biologico. Stanno emergendo responsabilità individuali, legate all’import: mele marce che non possono gettare fango sull’intero sistema, composto da migliaia di agricoltori, imprese e tecnici controllori che vi lavorano ogni giorno con professionalità e onestà. In questo quadro, diventano anch’essi vittime”. Questo il commento del presidente di Icea - Istituto Certificazione Etica e Ambientale, Nino Paparella a poche ore dalla notizia dell’operazione ‘Gatto con gli Stivali’, che ha portato al sequestro di 2.500 tonnellate di merce (frumento, favino, soia, farine e frutta fresca) spacciata per biologica e a sei arresti tra la città veneta e Ferrara, Pesaro Urbino e Foggia.
Icea, intanto, appoggia Federbio, l’organismo di rappresentanza del settore, nell’annuncio di volersi costituire parte civile nel processo. “Un segnale chiaro – prosegue Paparella - soprattutto per i consumatori. Certo, l’intero sistema di controllo (che comprende Ministero, ente di accreditamento e organismi di controllo) rivela ancora falle, in particolare per casi come questo, legato a prodotti di importazione; e ormai tutto il mondo bio preme per una sua maggiore efficacia. Anche noi da tempo spingiamo in questo senso: ad esempio pubblicando online in tempo reale i risultati dei nostri controlli e le certificazioni, o adottando un nostro codice di misure antifrode sempre più stringenti (online su www.icea.info)”.
Resta il fatto che “paradossalmente - conclude il presidente - proprio questo tipo di inchieste confermano come nel complesso la fisiologia del sistema bio italiano sia in grado di rilevare la patologia, estirpare le cause e puntare a reagire efficacemente”.
Ufficio Stampa: Fabio Nardulli – ufficio.stampa@icea.info - 339 1307311
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Continua a crescere l’isola dei rifiuti. Allarme nell’Oceano Pacifico
Scritto da Andrea Bertaglio Domenica 20 Nov embre 2011 23:05
Secondo alcuni studiosi, Il Pacific Trash Vortex ha raggiunto una dimensione doppia a quella degli Stati Uniti. E' la discarica più grande del pianeta e si è formata principalmente a causa dei sacchetti di plastica usa e getta.
di Andrea Bertaglio.
Cresce costantemente il Pacific Trash Vortex, l’accumulo di rifiuti di plastica che galleggiano nell’Oceano Pacifico. Con decine di milioni di tonnellate di detriti che fluttuano tra le coste giapponesi e quelle statunitensi, si tratta di fatto della più grande discarica del pianeta. Secondo scienziati ed oceanografi, fra cui Marcus Eriksen, direttore di ricerca presso l’Algalita Marine Research Foundation, la sua estensione ha ormai raggiunto “livelli allarmanti”: forse “il doppio di quella degli Stati Uniti”.
Ma come può essere così vasta? Raggiunto telefonicamente da ilfattoquotidiano.it, il dottor Eriksen ha spiegato che il Trash Vortex “non forma un’isola o un’accumulazione densa di frammenti. La densità è simile a quella di un cucchiaio di confetti di plastica sparsi su un campo di calcio”. Fra i rimedi consigliati dagli esperti, spicca la necessità di abbandonare globalmente i sacchetti di plastica usa e getta. Una scelta già fatta dall’Italia, che adesso tutta l’Europavuole imitare.
Palloni da calcio e da football, mattoncini di Lego, scarpe, borse, kayak e milioni di sacchetti usa e getta. Sono questi gli ingredienti della “zuppa di plastica” che anno dopo anno si sta impossessando del Pacifico. Un quinto di essi, secondo gli studiosi, proviene da oggetti gettati da navi o piattaforme petrolifere, il resto dalla terraferma. Questo enorme vortice di rifiuti è però visibile solo da navi e barche, non dai satelliti. Esso si trova infatti al di sotto della superficie marina, fra i pochi centimetri e i 10 metri di profondità.
Scoperto alla fine degli anni ’80 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) ma reso noto soprattutto da Charles Moore, il Great Pacific Garbage Patch (altro nome del Trash Vortex) si divide in due grandi blocchi: “Uno a circa 500 miglia marine dalle coste californiane, ed uno al largo di quelle giapponesi – spiega il dottor Eriksen – connessi dalle correnti che ruotano in senso orario attorno ad essi”.
In quest’area del Pacifico settentrionale le correnti portano ogni anno ad accumularsi enormi quantità di rottami marini e rifiuti, composti per il 90% da plastica, di cui si ritrovano anche pezzi fabbricati negli anni ‘50. Le materie plastiche, infatti, fotodegradandosi possono disintegrarsi in pezzi molto piccoli, ma sostanzialmente non si biodegradano. I polimeri che le compongono possono così finire nella catena alimentare, in quanto queste briciole vengono scambiate per plancton o altri tipi di cibo da molti animali marini. Un problema comune anche al Mare Mediterraneo, che vede però nelle dimensioni raggiunte nel Pacifico un fenomeno decisamente allarmante.
Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), già nel 2006 ogni miglio quadrato di oceano conteneva 46mila pezzi di plastica galleggiante. Oggi, secondo i calcoli più recenti, si è arrivati con il solo Trash Vortex ad un totale di 100 milioni di tonnellate. Per Charles Moore il problema è dovuto soprattutto all’enorme diffusione nel mondo dei sacchetti di plastica. Se non se ne ridurrà il consumo, avverte “Captain” Moore, “questa massa galleggiante potrebbe raddoppiare le sue dimensioni entro il prossimo decennio”.
Un fenomeno, quello dei sacchetti usa e getta, di cui si sta discutendo molto in Europa, ma che finora ha portato solo l’Italia a metterli definitivamente al bando. Nel Belpaese, una volta tanto all’avanguardia nella tutela dell’ambiente, la legge che dall’inizio del 2011 vieta la produzione e la commercializzazione di questi sacchetti è diventata infatti un esempio virtuoso per tutto il resto del vecchio continente. Tanto che, secondo una consultazione pubblica della Commissione europea sull’uso delle buste di plastica non biodegradabili, a cui hanno partecipato oltre 15mila cittadini dell’Ue e centinaia fra associazioni, Ong ed università, “il 70 per cento degli europei vuole che il bando italiano venga esteso al resto dei Paesi membri”.
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in allegato file con tutti gli articoli e i comunicati ufficiali del caso
51_Comunicato_operazione_Gatto_con_gli_stivali_2-1.doc (239,5 kB)
C._06.12.11_alimenti_biologici_falsi adiconsum.pdf (58,6 kB)
comunicato ccpb.doc (22 kB)
comunicato_stampa gdf.pdf (1,6 MB)
Il 22 novembre è stato pubblicato il nuovo regolamento europeo sulle diciture delle etichette alimentari. Si tratta di una rivoluzione per l'ntero settore perché permetterà ai consumatori di scoprire con più facilità i segreti dei prodotti esposti sugli scaffali dei supermercati. Le novità sono rilevanti, per esempio non ci saranno più segreti per gli "oli vegetali" che dovranno indicare la tipologia ( soia, palma, ... ), è obbligatoria la tabella nutrizionale, le diciture scritte con caratteri tipografici invisibili sono state vietate, gli allergeni dovranno essere ben evidenziati nell'elenco degli ingredienti....
Buone notizie anche per le persone allergiche visto che le sostanze allergizzanti dovranno essere evidenziate in grassetto o in colore. Si potrà persino utilizzare il semaforo per indicare i cibi contengono troppi grassi o troppi zuccheri.
di seguito il link alla pagina de "il fatto alimentare" dove si trova un e-book con tutte le novità, scaricabile gratuitamente o con offerta libera per l'emergenza carestia in somalia.
https://www.ilfattoalimentare.it/etichette-alimentari-nuova-legge-europea-libro-dario-dongo.html
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Centro Riciclo Vedelago: la raccolta differenziata al 99 per cento
Continua il nostro viaggio nel mondo dei rifiuti. Questa settimana approfondiremo l’intervento di Carla Poli, che abbiamo incontrato nel corso del recente convegno RIfiuto: RIduco, RIciclo.
Carla Poli durante il convegno RIfiuto: RIduco, RIciclo
“Io non voglio più nemmeno chiamarli rifiuti, per me sono materiali”. Queste parole sintetizzano meglio di qualunque altra il pensiero che in questi anni ha animato Carla Poli, titolare del Centro Riciclo Vedelago, situato in provincia di Treviso.
“In questi anni ne abbiamo dovuti affrontare di ostacoli!”, assicura al pubblico venuto ad assistere alla due giorni sui rifiuti organizzata dalla Macro Edizioni. “Ma adesso ci stanno richiamando tutti”.
Eh sì, persino in Italia, seppur lentamente, si sta insinuando la logica della raccolta differenziata e della riduzione dei rifiuti. Ma Carla Poli è già oltre, e non vuole sentir parlare di rifiuti nemmeno per il cosiddetto residuo secco, quello cioè che avanza una volta separato l’umido dalla plastica, dal metallo, dall’alluminio e dalla carta. Per lei il rifiuto non esiste. Al suo posto una straordinaria risorsa, nonché un’opportunità di business tutta da sfruttare.
Ma andiamo con ordine. Il Centro di Riciclo di Vedelago si occupa di separazione e riciclaggio di rifiuti. Non sembrerebbe nulla di straordinario, ma la peculiarità di questo impianto è data dalla percentuale di rifiuti che riesce a riciclare. Circa il 99%.
Sembra impensabile in un’epoca contrassegnata dall’invasione della spazzatura nelle strade di Napoli, dalle difficoltà crescenti incontrate dalle diverse amministrazioni per aprire nuove discariche e dalle polemiche (motivate) che sempre più si accompagnano alla presenza degli inceneritori.
Impensabile, eppure reale. Certo, siamo nel nord-est, nell’Italia del fare. Eppure...
È la stessa Carla Poli ad infuriarsi quando le amministrazioni da lei contattate le dicono che il contesto culturale non permette risultati analoghi in altre regioni d’Italia. “La gente non è mica stupida! I sindaci dicono ‘qui da noi non c’è la cultura’. Io dico: signor sindaco lei sta dando del deficiente ai suoi cittadini! Non credo che nel suo paese le persone non sappiano distinguere tra un giocattolo e una bottiglia!”.
Proprio dai cittadini e dalle amministrazioni che li governano deve partire il processo virtuoso proposto dal Centro di Riciclo Vedelago.
Perché il miracolo che Carla Poli propone si compia, infatti, è necessaria un’accurata separazione dei rifiuti, ma soprattutto una raccolta differenziata che sia mirata al riciclo.
Troppe volte, invece, si misurano le percentuali di raccolta, senza controllare, poi, quanti di questi “materiali” raccolti vengano effettivamente riciclati.
L'impianto di selezione e pressatura
“Spesso più che di comuni ricicloni bisognerebbe parlare di comuni raccoglioni!” ha affermato la dottoressa Poli durante il suo intervento. “Quando si fa una raccolta differenziata finalizzata al riciclo bisogna capire perché va fatta, quali sono gli obiettivi, e intervenire quindi concretamente realizzando impianti adatti alle esigenze dell’utenza presa in considerazione. In molti, invece, fanno la raccolta e si fermano lì. Quando si decide di fare la raccolta differenziata per il riciclo, questa deve mirare al 100%. In questo caso, infatti, andremo a raccogliere l’umido attraverso gli impianti di compostaggio, i vari materiali in modo separato, ma soprattutto raccoglieremo in modo sensato gli imballaggi. Questi soggiacciono all’accordo nazionale ANCI-CO.NA.I. Ma molti sindaci non sanno neppure cos’è! Eppure l’ANCI è l’Associazione Nazionale Comuni Italiani! Questo accordo prevede che quando una persona va al supermercato e compra le bottiglie d’acqua, paga l’acqua, paga l’imballaggio e paga anche il costo per portare gli imballaggi all’impianto di riciclo! Lo paga già. Se poi nessuno si occupa della raccolta di quegli imballaggi, il cittadino paga due volte perché l’imballaggio finisce in discarica o nell’inceneritore”.
Queste amministrazioni, quindi, nella loro ignoranza, assegnano i fondi destinati alla raccolta di questi imballaggi ai trasportatori che però, per la loro intrinseca natura, hanno come prima finalità quella di impiegare poco tempo e “ottimizzare le risorse”, finendo quindi col far caricare molti rifiuti schiacciandoli e rovinandoli. Quando questi materiali arrivano all’impianto di riciclo sono molto danneggiati ed hanno così una frazione di scarto (non riciclabile) molto grande.
Basterebbe quindi far applicare le leggi e gli accordi già esistenti per incentivare notevolmente la quantità e la qualità del riciclo dei rifiuti e la contestuale eliminazione del bisogno di nuove discariche o inceneritori.
Nel caso delle proposte di Carla Poli, alle parole sono seguiti i fatti. La sua azienda è riuscita a realizzare, a Ponte nelle Alpi, un riciclo del 98,5% dei rifiuti raccolti. Ma non si è fermata qui. In questi mesi, infatti, sta cominciando ad operare in Sardegna, a Colleferro (a sud di Roma) e persino a Torre del Greco, che non è esattamente un paesino veneto.
Ma partiamo dal principio e vediamo come la dottoressa Poli ha risposto alle nostre domande.
Ponte Nelle Alpi comune vincitore del premio nazionale "Comuni a 5 stelle 208"
Carla Poli, perché la vostra iniziativa è partita proprio da Ponte nelle Alpi?
“A ponte nelle Alpi il comune si è mosso di buona lena. I cittadini sono venuti alle nostre riunioni e hanno capito le nostre motivazioni. Ci siamo detti, vabbé - siamo i primi - proviamo a vedere se ci arriviamo. È stata un po’ una sfida. Oggi a Ponte nelle Alpi fanno una raccolta differenziata che sfiora il 100% perché tutti i materiali raccolti, divisi per flussi, vanno a riciclo. Certo, dovranno ancora un po’ migliorare, bisogna sempre migliorare il mondo. Ma come inizio non è male....”
Partire dalla sensibilizzazione delle persone è quindi fondamentale. Per questo, oltre ad occuparsi degli impianti di riciclaggio, il Centro Riciclo Vedelago è impegnato in prima linea anche nella diffusione dell’informazione sul tema dei rifiuti, specie nelle scuole.
Che tipo di iniziative state portando avanti nelle scuole?
“La scuola è da sempre la nostra avanguardia è lo strumento che noi usiamo per entrare nella società. Se nella scuola i bambini acquisiscono le cognizioni necessarie si fanno paladini in famiglia e nella società per la realizzazione della raccolta differenziata. Abbiamo quindi elaborato un progetto chiamato “Educare lo sviluppo sostenibile” che noi portiamo nelle scuole a nostre spese. Per noi questo è un investimento redditizio. Educando i bambini e tramite loro le famiglie, infatti, ci siamo trovati con rifiuti differenziati in modo consapevole e quindi - ad esempio - non ci sono più capitate le vaschette di plastica che hanno contenuto un pasticcio con mezzo pasticcio dentro o con la muffa sopra. Un rifiuto pulito è un materiale più facilmente ed efficacemente riciclabile. Queste piccole attenzioni da parte delle famiglie, quindi, ci fanno risparmiare.”
Cosa fate con i cosiddetti rifiuti indifferenziati?
“A Ponte nelle Alpi, la frazione residua secca non la chiamiamo indifferenziata perché se uno dice indifferenziato già pensa alla discarica. Se invece dico frazione secca, composta per l’82 per cento da materiale plastico, è cosa ben diversa: giocattoli, attaccapanni, carta del prosciutto. Quello è il secco! E perché devo seppellirlo visto che è roba buona e me la pagano?”
Come vi ponete rispetto alle altre iniziative presentate durante questo convegno come, ad esempio, quelle dei comuni a rifiuti zero?
“Noi veniamo dopo. Cioè diciamo, se c’è il modo di risparmiare, di non produrre, di fare meno... va tutto bene; io non ho paura di rimanere senza lavoro perché, per quanto uno risparmi, ci sarà sempre qualcosa da riciclare. Questo qualcosa, questa frazione residua che viene conferita nel servizio pubblico, non si deve né bruciare, né seppellire, ma è tutta riciclabile. Ecco noi ci poniamo lì.”
NOTA
Centro Riciclo Vedelago riceve le frazioni secche riciclabili dei rifiuti urbani e assimilati, seleziona i materiali in base alla composizione merceologica, compie le operazioni necessarie per la riduzione volumetrica, gestisce la fase di destinazione in uscita delle singole tipologie di materiali che vengono consegnati a impianti di seconda lavorazione o a specifiche aziende che li impiegano nei loro cicli produttivi.31 Ottobre 2008.
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No all'utilizzo del Kamut
“Kamut” non è il nome di un grano, ma il marchio commerciale (come “Mulino Bianco” o “McDonald’s”) che la società Kamut International ltd (K.Int.) ha posto su una varietà di frumento registrata negli Stati Uniti con la sigla QK-77...
Il “Kamut” (finto cereale degli egizi) è da sempre coltivato in Italia…anche nel Veneto
"studio di Associazione Veneta Agricoltori Biologici"
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